«Tu c’hai idea de quanto ce guadagno sugli immigrati? Il traffico de droga rende meno» (Salvatore Buzzi)
Eppure, nonostante questa affermazione del criminale Salvatore Buzzi, intercettata e resa pubblica nel 2014, che parla ancora da sé, persiste ancora il cretinismo dei “porti aperti” e del #restiamoumani twittato da un attico di New York, ma di certo non gridato dalle periferie, in cui le tensioni sociali non appaiono sui display, ma appena fuori la porta di casa, se non anche dentro.
Ma la realtà dell’immigrazione non è nemmeno quella che viene combattuta dai paladini dell’italianità che sfoderano, come letale arma identitaria, i tortellini al maiale, abbattendosi contro Carola Rackete a colpi di selfie, mentre, dall’altro lato delle loro fotocamere, altre centinaia e centinaia di immigrati continuano a sbarcare sulle coste dell’Italia Meridionale e di una Lampedusa stremata, lasciata a se stessa e alla propria umanità.
D’altra parte, né il “chiudiamo i porti” né il “refugees welcome” (che poi refugees da cosa visto che in gran parte dei casi non scappano dalla guerra?) possono essere delle soluzioni. Sono solo slogan che banalizzano il tema e distolgono la questione dagli attori principali: i signori dell’immigrazionismo che lucrano e incentivano gli sbarchi con fini loschi, che vanno ben oltre il guadagno materiale.
La discussione sull’immigrazione ha assunto il carattere da tifo da stadio, in maniera del tutto sensazionalistica, ma in entrambi i casi, oltre il becero populismo e i radical-chic prezzolati, le cose stanno molto diversamente.
Chi sta arrivando su quei barconi?
Se affrontiamo il problema in maniera lucida, nonostante sia ormai impossibile ragionare serenamente sull’immigrazione, probabilmente ci renderemmo conto che, al di là della stucchevole retorica, gli immigrati (che i benpensanti chiamano “migranti” perché fa più chic) che fuggono dalla guerra, dalla miseria e dalla povertà, sono solamente una parte minoritaria, mentre la gran parte tenta la fortuna, attratti da un’Europa più ricca, dissoluta e incapace di difendersi. E lo fanno lasciando il loro paese di origine, il loro villaggio, la loro famiglia che, al contrario, avrebbe bisogno di aiuto e di supporto, come normalmente dovrebbe accadere nelle situazioni di difficoltà.
In secondo luogo, analizzando i paesi da cui queste persone arrivano, raramente trattasi di zone di guerra o miseria. Purtroppo, è un dato di fatto, ma nelle zone veramente disastrate da guerre e persecuzioni le persone non hanno gli strumenti per poter intraprendere un viaggio che li porti fino in Europa. Basterebbe anche solo confrontare l’immagine dell’immigrato africano tipo – ben piazzato e con lo smartphone (tanto da protestare per l’assenza di WiFi) – con quelle degli uomini e delle donne che, con enorme dignità, in centro-Africa e Asia combattono contro la miseria dei loro luoghi.
L’immigrazione è una scusa buona per tutto. E per tutti
E allora, perché la società occidentale, dopo secoli di sfruttamento a discapito dei popoli e dei paesi africani, dopo forme di razzismo e discriminazione becera che si sono perpetuati fino a qualche decennio fa (e in alcuni casi permangono tutt’ora…), oggi è animata da uno spirito di assoluta redenzione, al punto da considerare questi poveri disgraziati come degli pseudo-angeli? Perché negli anni ‘80, di fronte al “problema Africa”, sui media e l’opinione pubblica andavano di moda gli aiuti attraverso campagne globali di raccolta fondi, spesso con la partecipazione di musicisti di tutto il mondo (ricordate Bob Geldof e il Band Aid? E gli Usa for Africa di “We are the world”?), mentre l’immigrazione di massa veniva considerata un’opportunità marginale? Eppure in quegli anni le guerre che sconvolgevano il continente erano tante e le situazioni di miseria erano altrettanto gravi.
Ad osservare i nostri governanti, e tutti i nani e le ballerine che affollano la corte (media, giornalisti, scrittori, musicisti, etc.), ci viene il sospetto che, dietro i sentimentalismi e le frasi di circostanza, l’immigrazione rappresenti il nuovo e dirompente strumento all’interno di un disegno più grande che, in assoluta coerenza con lo spirito individualista, materialista ed approfittatore della società liberal capitalistica, vede, prima di tutto, ingrassare le tasche dei ricchi a discapito dei poveri. Il tutto, ovviamente, sulla pelle degli uomini.
Cui prodest?
Ed allora, mettiamo da parte il romantico mito del “buon selvaggio” e chiediamoci: A chi giova?
Ne giovano gli sfruttatori. Non è infatti possibile convincerci della buona fede dell’“ideologia dell’accoglienza”, poiché è evidente come i flussi migratori siano la nuova tratta degli schiavi, che immette sul mercato del lavoro (nero) un’enorme quantità di risorse sottopagabili, sfruttabili, incapaci di alcuna rivendicazione, prive di alcun diritto. Questa rappresenta un’enorme opportunità per chi ha come unico obiettivo la massimizzazione del proprio profitto e, di tutto ciò, ne è un esempio lampante la piaga del caporalato nel Sud Italia.
Inoltre, tali processi incidono anche sulle realtà locali determinando un effetto al ribasso del prezzo della manodopera locale: pensate che “illusi”, pretendono di essere pagati e trattati come tutti gli altri lavoratori?!
Altra cosa, poi, sono gli introiti che gli immigrati garantiscono alla malavita, a cominciare da quella delle cooperative dell’accoglienza, sedicenti strutture economiche “votate al sociale” che forniscono servizi agli immigrati. Tali strutture, infatti, percepiscono erogazioni pubbliche sulla base del numero di persone ospitate e molto facilmente in passato, prima che scoppiasse lo scandalo, hanno potuto trattenerne indebitamente una quota per sé. Ma gli esempi potrebbero essere moltissimi. Inoltre, disposti a tutto e senza nulla da perdere, gli immigrati sono la manovalanza perfetta per le organizzazioni criminali, che condannano le donne alla schiavitù e alla prostituzione e impiegano gli uomini in attività criminali, tra cui, tipica, quella di spaccio. D’altra parte, molti di questi avventurosi immigrati non hanno scrupoli né principi, interessati a massimizzare il rischio dell’arrivo in Italia, pronti a sfasciarla per assicurarsi qualche mese di vita all’occidentale: figuriamoci se si sottraggono allo spaccio di droga, al furto e agli altri crimini tipici di questa condizione.
Infatti, è su tale sfondo che si sono verificati molti dei più tragici casi di cronaca degli ultimi anni, i quali hanno visto giovani vittime sprofondare in uno squallore che vedeva intrecciarsi degrado, droga e immigrazione clandestina, assieme a inquietanti pratiche selvagge e totale assenza di qualsivoglia umanità. Proprio un anno fa, Desirée veniva stuprata ed uccisa in uno stabile occupato a San Lorenzo a Roma…
Combattere l’immigrazionismo, oltre il singolo immigrato
Di certo non stiamo qui a fare gli ipocriti e non crediamo che gli immigrati siano la causa di ogni male; ma è altresì innegabile che quello dell’immigrazione è un problema che, su più livelli, aggrava la gestione di tutti i problemi che già affliggono la società contemporanea. La Francia, che dopo secoli di colonialismo sprofonda nei ghetti delle banlieu, sembra essere un’oscura profezia, purtroppo.
Queste sacche di immigrazione, che guarda caso l’accogliente Occidente confina nelle periferie disagiate ed alle prese con problemi atavici di degrado e abbandono, lontano dai quartieri centrali, dove abita tranquillo e sereno BoldriniSavianoChefrubioGramelliniFazio
AnnunziataBerlinguerParenzoCrucianietcetcetc, prima o poi scoppiano come il rigetto post-operatorio di un trapianto insensato.
Politiche costruite sulle lacrime da coccodrillo per i barconi affondati
Ne giovano i politici. Infatti, già da questi brevi spunti, emergono, lampanti, molti aspetti oscuri dell’immigrazione. Da decenni il Mediterraneo è un cimitero marino e, al suo centro, l’Italia è ponte di sbarchi. Tutto ciò accade almeno dal 1992 con il grande esodo degli albanesi in Italia; tuttavia, sembra che solamente da qualche anno a questa parte qualcuno se ne sia accorto.
Per questo, non è credibile l’incapacità della “classe dirigente” nel trovare una soluzione concreta a tale problema, soprattutto considerando le sinergie tra gli stati (rectius tra banchieri e mercanti) che creerebbero gli organismi sovranazionali. Si preferisce, piuttosto, inscenare tale teatrino elettorale, alla disperata ricerca di voti.
Si strumentalizzano così le morti in mare per strappare qualche lacrima e convincere l’elettore ad accettare gli sbarchi e a votare “altrimenti è colpa tua se crepano in mare”. E così nulla cambia, fino alla prossima “capitana” pelosa e viziata, possibilmente nordeuropea col papino che le paga la vita da senzatetto che fa, la quale sperona la Marina Militare per recapitarci centinaia di immigrati, tra cui criminali e terroristi.
La verità, purtroppo, è anche qui una sola: l’immigrazione è una macchina di voti che gira molto bene e che una soluzione al problema incepperebbe inesorabilmente.
Immigrazione, sinonimo di inquinamento delle identità. La nostra e la loro
Ne giova l’Avversario, perché, nel tempo, l’immissione nel tessuto sociale, già di per sé logorato, di stranieri con tradizioni, usi e costumi profondamente diversi, determinerà sempre di più l’oblìo delle nostre radici, di fatto sotto un inesorabile attacco e in forte pericolo. Dinanzi ad un’Occidente che ha costruito la sua fossa, dal momento che ha reciso qualsiasi legame con la Tradizione (sul piano religioso, politico e sociale), in nome di una pseudo-comunità (europea) fondata su pseudo-valori di natura esclusivamente economica, le unioni meticce e le discendenze prive di identità sono l’attacco finale e definitivo a un albero, che un tempo era una quercia, le cui radici sono sempre più prive di linfa vitale. Sono prive di quel nutrimento autorigenerante che la difesa di una storia e di una visione del mondo comune garantisce, storia di civiltà, di patrie, di miti, di riti, di simboli, di uomini, di esempi e di riferimenti che hanno costruito un’Europa che, purtroppo, gli stessi europei hanno ormai abbandonato.
Quali famiglie trasmettono ai loro figli l’ingegno di Ulisse, il coraggio di Ettore o la Pietas di Enea? In quale scuola si insegna il rispetto per la vita, quella vera e non del suicidio assistito, che non è appagamento di bisogni, desideri incondizionati, realizzazione nel lusso, nel denaro, nella droga e nella fica? L’Europa cade sotto i colpi di un sistema che, attraverso una globalizzazione totale (che ha investito tutti i piani del vivere sociale), prima imposta ed ormai accettata, ha trovato campo (quasi) libero: e un albero senza radici è destinato a morire.
Ci hanno imposto di accogliere tutti e tutto in nome di chissà quale solidarietà e fratellanza, quando il sistema nel quale siamo inseriti fa di tutto per renderci individualisti, competitivi, violenti, nevrotici, materialisti, una lotta per la sopravvivenza in cui i poveri si scannano coi poveri, mentre i potenti ed i burattinai, stanno lì in prima fila a godersi lo spettacolo. E lasciamo stare la Chiesa, non vogliamo infierire perché parla da sé la recente inaugurazione della “statua” sui migranti, inutile e brutta, in Piazza San Pietro. Era il 29 settembre 2019, giorno di San Michele Arcangelo ormai divenuta la Giornata del Migrante e del Rifugiato.
Con l’oblio della Tradizione l’umanità muore. Infatti, etimologicamente, ànthropos significa “colui che alza gli occhi in alto”; dunque, senza il Cielo non c’è più nemmeno l’uomo.
Verità e solidarietà contro la lagna immigrazionista
Allora, quale soluzione? Questo problema, dalle entità così vaste, è in realtà “semplice”, nella sua soluzione teorica. Logica vorrebbe infatti che, poiché la causa dell’immigrazione sarebbero guerra e povertà, il male sia estirpato alla radice. Sarebbe auspicabile un intervento militare nelle zone di conflitto e, ancora, creerebbero moltissime opportunità gli investimenti in attività, nella ricerca e nello sviluppo nelle aree povere e depresse, magari dando anche a tali popoli gli strumenti per rendersi autosufficienti nell’utilizzo delle risorse del loro territorio.
L’Occidente dovrebbe piantarla di affamare i popoli del cosiddetto terzo mondo, rubando risorse naturali, corrompendo i politici locali e armando le mani disperate delle popolazioni in rivolta. Ma sappiamo bene chi governa questo mondo ed è utopico credere che possa smetterla con lo sfruttamento dei poveri e degli indifesi, che altrimenti potrebbero ben cavarsela da soli senza dover emigrare in Occidente. È quanto mai evidente che di queste persone non interessi nulla a chi sta in alto, dimostrando ancora una volta come questo status quo ne ingrassi le tasche.
Combattere la lagna immigrazionista con campagne di verità. Evitare che il fronte anti-immigrazione sia preda di ignoranti che fanno del razzismo biologico la propria bandiera. Ma soprattutto andare alla radice del problema, smascherando i grandi Mangiafuoco del business dell’immigrazione. Queste dovrebbero essere le direttrici di lotta all’immigrazionismo.
Parallelamente, sarà importante ribadire quanto ormai da 25 anni ripetiamo. Urge costruire comunità tradizionali che nella politica, nel sociale, nello sport, nell’economia, nella cultura, nell’agricoltura, affermino i Principi della Tradizione, vivano in maniera integrale una visione del mondo alternativa, trasmettano ai più giovani quel patrimonio inestimabile che la nostra Europa ha saputo partorire.
Noi dobbiamo creare il domani edificando l’oggi, al fine di consegnare ai nostri figli un fuoco che non potrà mai essere spento e che ancora adesso ci consente di rispondere come Uomini e Donne a chi ci vuole schiavi e consumatori.
“Nell’idea va riconosciuta la nostra vera patria. Non l’essere di una stessa terra o di una stessa lingua, ma l’essere della stessa idea è quel che oggi conta” (Julius Evola, Orientamenti)
Consigli di lettura
Sangue e terra, Gian Marco Concas, Passaggio al Bosco
L’inganno antirazzista. Come il progressismo uccide identità e popoli, Stelio Fergola, Passaggio al Bosco
L’invasione. Prodromi di una eliminazione etnica, Massimo Pacilio, Edizioni di AR
Un futuro senza avvenire? La generazione della decisione, Cristina Coccia, Edizioni di AR