“La bellezza salverà il mondo” è una celebre affermazione del noto scrittore russo Fëdor Dostoevskij. Ma quale bellezza? L’esperienza comunitaria del campo invernale che annualmente viviamo, ci offre un assaggio e meglio di qualunque altra cosa esemplifica perfettamente il significato di “bellezza” al quale bisogna riferirsi. Se ciò che è bello è per sua natura vero (e viceversa), i due giorni trascorsi in montagna con i propri camerati lasciano un ricordo (dal latino recordare, cioè riportare al cuore) di pura bellezza che infiamma lo spirito e rischiara l’anima da quel grigiore di vita quotidiana che troppo spesso tende ad offuscarci.
Riscoprire la purezza della natura che ci circonda, la capacità di affrontare con gioia un percorso tortuoso, prediligere l’essenzialità piuttosto che la comfort zone nella quale siamo costantemente abituati a vivere, rompere la routine quotidiana mettendosi alla prova per verificarsi, educarsi al silenzio della montagna, sentir vibrare il cuore alla vista di un’alba che ci ricorda ancora una volta che “per quanto possa essere lunga la notte, l’alba arriverà sempre”, questo è stato il nostro campo invernale!
Nel primo pomeriggio di sabato raggiungiamo la località scelta per questi due giorni e dopo aver parcheggiato le macchine, muniti di tutto il materiale necessario, ci apprestiamo a partire alla volta del punto presso il quale trascorreremo la notte. Dopo qualche ora di camminata giungiamo nel luogo prestabilito come campo base e poco prima del tramonto piantiamo le tende, raccogliamo la legna e ci prepariamo ad accendere il fuoco. Una volta terminato l’allestimento delle tende che ci ospiteranno al calar della notte, ci raccogliamo davanti ad un bel fuoco ardente per stimolare alcune riflessioni attraverso una lettura. Il contesto nel quale condividiamo queste parole, fianco a fianco ai nostri fratelli e il fuoco di fronte ai nostri occhi sicuramente ci permettono di immergerci ancor di più nello spirito di questo campo e suscitano in noi considerazioni e confronti molto importanti per il nostro cammino di Formazione.
Sottolineiamo come questi momenti vissuti comunitariamente ci aiutino a comprendere maggiormente quanto il mondo moderno contro il quale costantemente siamo chiamati a combattere possa aver presa su di noi, quanto le passioni, gli attaccamenti ai piaceri della vita comoda possono scalfire facilmente tutti i nostri buoni propositi e quanto possono distoglierci da quel voler costantemente ambire ad essere degni testimoni della Tradizione. Riscoprire la semplicità (nel senso romano del termine), coltivare costantemente la virtù, dominare le proprie passioni, i propri desideri e affrontare il vero nemico (quello interiore) con l’attitudine gioiosa del guerriero e con l’attenzione della sentinella che nel buio profondo della notte non dorme, ma veglia.
Dopo queste riflessioni, c’è tempo per una bella cena comunitaria, mentre la temperatura va progressivamente sottozero. Cosi, tra qualche bicchiere di vino, un po’ di carne cotta sul fuoco e qualche canto ci approssimiamo a concludere la giornata. La temperatura si fa sempre più rigida e il cielo stellato sopra le nostre teste ci accompagna sino al momento in cui entriamo nelle nostre tende per chiudere gli occhi qualche ora.
Alle 5:30 della domenica la sveglia suona e dopo la preghiera comunitaria ci ricomponiamo e ci dirigiamo sulla cresta per poter vedere l’alba, il Sole invitto. Appena arrivati in cima, la vista di cui possiamo godere è meravigliosa. Il meglio però, deve ancora venire: poco dopo le 7 la nascita del nuovo giorno si manifesta ai nostri occhi e lo spettacolo è ancor più bello. La temperatura si fa più mite, il colpo d’occhio è eccezionale e l’alba non fa che alimentare il nostro fuoco interiore. Successivamente, tornati alle tende, dopo una colazione frugale partiamo per la nostra escursione. Il paesaggio innevato ci obbliga ad indossare le ciaspole e proseguire lungo il nostro percorso ammirando la bellezza del bosco e l’armonia del contesto circostante. La giornata primaverile e la temperatura via via piacevole allietano i nostri sforzi e ci permettono di affrontare gioiosamente le ultime salite prima della vetta. Dopo un’ultima piccola sosta prima della salita finale, ci ricompattiamo tutti insieme e in fila indiana proseguiamo silenziosamente per poter arrivare alla conquista della vetta.
A circa 30 metri dalla vetta la soffice neve sotto le nostre ciaspole si trasforma sempre di più in una lastra di ghiaccio scivolosa. Cosi, quando ormai siamo in prossimità della cima, soltanto a circa 20 metri dalla stessa, decidiamo di non rischiare oltre. Non per paura o viltà, ma perché la montagna parla e insegna, educando anzitutto al senso del limes, del limite. In virtù di quanto detto la sera precedente attorno al fuoco e consapevoli dello spirito con il quale è necessario approcciarsi alla montagna e non solo, anziché accrescere il nostro ego cercando di raggiungere a tutti i costi la vetta, ci pieghiamo ancora una volta all’insegnamento della montagna e in modo lucido e distaccato scegliamo di scendere verso la valle.
Scendendo c’è il tempo per scambiare qualche chiacchiera in più con i propri camerati, confrontarsi soprattutto con chi per la prima volta vive un’esperienza di questo tipo e raccogliere le prime impressioni entusiastiche di questi due giorni carichi di simboli e significati. Una volta arrivati al campo base, si procede con lo smontaggio delle tende e si provvede a riordinare i propri zaini in vista dell’imminente ritorno verso il punto in cui si sono parcheggiate le macchine. Prima di ripartire c’è spazio per un pranzo in cui ciascuno con spirito cameratesco condivide con i propri camerati le ultime scorte di cibo.
Sulla via del ritorno la fatica e la stanchezza si fanno sempre più prossime, ma la consapevolezza di aver vissuto momenti di vera bellezza che fortificano anima e spirito e alimentano il nostro fuoco interiore è ben presente in noi stessi. Del resto, come ci ricorda qualcuno a noi molto caro: “Che importa soffrire, se vi è stata nella nostra vita qualche ora immortale?”
In alto i cuori!