Cosa vuol dire essere guerrieri, servire la Tradizione? Come attualizzare il mito di Ercole o l’esempio dei samurai giapponesi? Ne abbiamo parlato col nostro amico Mario Polia, nella conferenza solstiziale, che ormai da Raido è un appuntamento fisso.
Egli ci ha introdotti nell’antico mondo dei guerrieri del Nord: la loro bevanda sacra era ovviamente l’idromele, dono di Odino agli uomini, che bevevano prima di scendere in battaglia: essa però non era esclusiva dei guerrieri, ma era considerata fonte d’ispirazione anche dai poeti. La guerra e la poesia, che agli occhi dei moderni sembrano due cose nettamente separate, evidentemente secondo la tradizione germanica, apparivano unite in un connubio inscindibile. Ma come ben sappiamo, ogni sostanza in grado di fornire esaltazione e ispirazione, se usata in modo sbagliato e eccessivo, può provocare nell’uomo il risveglio della propria bestialità, da cui il guerriero deve sempre guardarsi.
Ma in cosa consiste invece l’esaltazione, il furor dei guerrieri germanici? Questo non è che uno svuotamento interiore, uno stato di totale distacco dall’ego, per rendersi servi della Divinità. Nessuna vittoria è infatti possibile senza la Volontà e l’aiuto divini, questo insegna la Tradizione. Per sconfiggere i giganti, l’ascia del guerriero ha bisogno della folgore dall’Alto, Teseo necessita del filo di Arianna per non perdersi nel labirinto: allora non è più l’uomo l’uomo che combatte, ma il Dio tramite Lui.
Ciò non può avvenire, però, senza la Conoscenza spirituale. A questa l’eroe attingeva simbolicamente sorseggiando le gocce dall’Idromele del Valhalla, o dell’olimpica Ambrosia. Il guerriero non può rinunciare a questo sostegno perché egli, per natura, è sempre sotto l’insidia dei suoi nemici, soprattutto interiori: era Loki che, nelle tradizioni nordiche, lo insidiava, instillandogli il dubbio, le ansie e le preoccupazioni.
Ma i nemici – interiori – sono anche i “giganti”, simboli di caos violento e di distruzione primordiale, assaltatori del Valhalla. Gli stessi che, nella classicità, lanciarono l’assalto all’Olimpo, per cui furono malamente sconfitti da Ercole: l’Eroe che trionfa solo ripercorrendo la via della Tradizione, simboleggiata dalle sue 12 fatiche.
Questa è la sfida che la Tradizione ci invita a lanciare a noi stessi nel periodo solstiziale, questo è il Solstizio d’inverno: vincere le proprie tenebre dinnanzi alla Luce che si riafferma vittoriosa. L’uomo della Tradizione, che viveva in armonia con il cosmo, vivendone ritmi e riti, rendeva vivo dentro di sé questo mistero che ogni anno si ripete e lo ispira.
Oggi, quando la tenebra sembra prendere definitivamente il sopravvento sulla Luce, è questa certezza di vittoria che dobbiamo serbare nei nostri cuori: preparandoci alla notte più lunga dell’anno in cui, ci auguriamo, il Sole rinasca anche nelle nostre anime. Tornare ad essere milites della Luce.
Ut Bonum, Iustum, Faustumque sit!