La risposta (congiunta) a “Studi evoliani 2014” di Raido e RigenerAzione Evola
Lo scorso giugno la Fondazione Evola ha dato alle stampe Studi Evoliani 2014, cioè l’annuale resoconto delle attività svolte nonché di studi dedicati a Julius Evola in quell’anno da esponenti e collaboratori della Fondazione stessa (di seguito “Annuario”). Un capitolo a parte (visualizzabile QUI) –è stato dedicato dal volume alle attività celebrative del 40nnale della scomparsa del Barone (1974-2014) e relative polemiche a margine. Anzi, per meglio dire, il capitolo è stata sostanzialmente l’occasione per spostare dal web alla carta stampata tutte le risposte date (non solo a Raido) dalla Fondazione in altrettante polemiche avute in quell’anno. In questa nota condivisa tanto da Raido quanto da RigenerAzione Evola, vogliamo riproporre alcune risposte, già in parte date in altre occasioni[1]. In alcuni casi ci limiteremo a ripetere quanto già detto (repetita iuvant), in altri saremo obbligati ad allargare certi discorsi perché, siamo sinceri, ci cominciano a stufare della perpetuante confusione che ha poco a fare con un lavoro di testimonianza, trasmissione, esempio, fondazione, ecc.. Quel lavoro che, se non ricordiamo male, dovrebbe essere la spina dorsale di una chicchessia organizzazione (fondazione, associazione, partito politico, squadra di calcio) che si richiama a Julius Evola, ovvero alla Tradizione. Per i più scettici, intanto, consigliamo di rileggere Orientamenti e, successivamente, farsi qualche domanda….
Andiamo per ordine. Dicevamo dell’Annuario, un volume con vari interventi e saggi a cura di Gianfranco de Turris, Damiano Gianandrea, Giovanni Sessa, e la grafica di Marcello de Angelis. Nella sezione “Cronache e polemiche” vi è un primo articolo a firma Corrado Federici dal titolo I convegni di studio dedicati al filosofo tradizionalista nel quarantennale della scomparsa e i nervi scoperti a destra e manca. In realtà l’articolo non dice nulla di nuovo, perché dopo la rassegna dei vari convegni che si sono tenuti nel 2014 su Evola ripropone la polemica che la Fondazione Evola ha sostenuto con alcuni ambienti accademici appartenenti alla stupidità marxista (a manca) e con Raido (a destra), reo di aver criticato il convegno dal titolo “L’eredità di Evola” organizzato dalla Fondazione Evola insieme all’Accademia dei Filaleti, diretta espressione di ambienti massonici seguaci “dell’Antico e Primitivo Rito di Memphis e Misraim”. Ambienti massonici dei più inutili e dannosi, dal momento che è nota l’avversità alla Massoneria moderna da parte di J. Evola e sulla quale R. Guénon, in più occasioni, si è espresso in modo chiaro circa la relativa funzione controiniziatica e controtradizionale. E che sarà mai l’organizzazione di un convegno con i massoni! Infatti, a detta degli organizzatori evoliani:
“secondo alcuni ciò di fatto comporterebbe l’aver lasciato l’eredità di Evola ai “fratelli”. Pura allucinazione. Durante il convegno […] nessuno dei relatori ha “interpretato” Evola in chiave massonica, non c’è stata alcuna “appropriazione” o “strumentalizzazione” massonica del suo pensiero: l’unica “eredità” alla quale gli organizzatori pensavano (non difficile capirlo), era quella culturale propria del pensatore tradizionalista. Quell’eredità – la quale, ancora negata da taluni rappresentanti della cultura ufficiale, continua, almeno in certi ambienti residuali a sinistra e a destra, fare scandalo”.
Effettivamente i nobili propositi sembrano essere decisamente offuscati dalla faciloneria con la quale si fanno certe affermazioni (evidentemente chi scrive è un “ingenuo”), visto che la strumentalizzazione scatta, inevitabilmente, dal momento in cui il volto di Evola appare attorniato da squadre e compassi, dalla simbologia egizia contornata dai tre fraterni puntini, ecc.. Ma com’è possibile, in una società in cui tutto è comunicazione e, potenzialmente, ogni cosa può essere strumentalizzata a piacimento, non rendersi conto di questo? Un giovane di vent’anni, ovvero il futuro e non il passato, un giorno, passando presso la sede di Raido, alla vista della locandina su Facebook, non ha esitato, con gergo tipicamente romanesco (e non usando le forbite parole proprie dei salotti accademici), a dirci: “Aoh, a camerà, ma er barone assieme a li masoni?! Me sa che se stà a rivortà na a’tomba!”. Perdonate l’off topic, ma ci sembra troppo “banale” ricordare quanto scritto da Evola stesso nel capitolo sulla guerra occulta e le armi della guerra occulta de Gli uomini e le rovine, per capire meglio certi pericoli.
L’articolo dell’“Annuario” si focalizza poi sul convegno organizzato da Raido e RigenerAzione Evola del 17 maggio 2014, con oratori Rodolfo Sideri, Maurizio Rossi e Mario Polia ed a cui si associa il successivo, tenutosi il 30 gennaio 2016 con oratori Rodolfo Sideri, Maurizio Rossi e Claudio Mutti. Secondo Federici, gli organizzatori del convegno avrebbero voluto “politicizzare Evola valorizzandone le indicazioni prassiste al fine di “liberarlo” dagli intellettualismi delle letture “accademiche” tese a depotenziarne (sic!) il lascito ideale”, per poi aggiungere “che un atteggiamento esegetico siffatto, “militante” e quindi limitante, anziché “rigenerare”, possa nel migliore dei casi produrre una riduzione del pensiero evoliano ad “immaginetta” ad uso e consumo di settari e ripetitori sterili”. A parte la scorrettezza nel muovere critiche senza citare in cosa gli oratori si siano distinti nel bene o nel male, nel giusto o nell’erroneo (in modo che il lettore si possa fare una propria opinione sulla questione in essere), evidentemente chi ha redatto l’articolo dell’“Annuario” non era neanche presente al convegno, tuttavia, ciò che colpisce sono determinate affermazioni, una su tutte: “militante e quindi limitante”. Probabilmente i nostri interlocutori, che la militanza l’hanno appunto analizzata/sezionata/studiata sui libri di storia ma, soprattutto, evitata sulla loro pelle, non sanno cos’è questo strano “animale” e la confondono con l’aspetto più banale e triviale di essa: la militanza è la “rude” vita di sezione, animata da picchiatori (?) poco avvezzi all’alfabetizzazione. La militanza, in senso tradizionale aggiungiamo noi, per come Evola stesso ha insegnato (riprendersi Orientamenti, scusate ma repetita iuvant…), è prima di tutto un’attitudine, una qualità, un modo d’essere, una predisposizione dell’animo che informa l’esistenza di un uomo ed ha un senso (come tutte le iniziative che si portano avanti) se lascia un segno nel presente e, possibilmente, nel futuro, ovvero nei confronti di ciò che dovrebbe stare più a cuore di tutto: chi verrà dopo di noi, i nostri figli, nipoti, ecc..
A tale proposito, per capirci meglio sarà utile raccontare un aneddoto di ormai qualche anno fa. Quando ancora la sede della Fondazione Evola era in Corso Vittorio Emanuele, presso l’abitazione dello stesso Evola, con alcuni amici, più per curiosità che per conoscenza, bussammo alla porta e ad aprirci fu un signore anziano, che con amorevole gentilezza rispose alla nostra serie interminata di domande su Evola, la sua vita e su cosa era giusto fare in questa particolare fase storica, etc. etc.. Rispetto a quest’ultima, la risposta dell’anziano signore fu secca: il problema vero non è COSA fare ma COME fare! Per la prima volta sentimmo dire che la cosa più importante, più che la stesura di programmi politici o l’eruditica lettura di libri (fondamentali per orientare l’azione, azione che è sempre termine di verifica), era la formazione di uomini. Non le chiacchiere o le belle intenzioni.
Dopo qualche frequentazione, scoprimmo che l’anziano signore era Renato Annibali per il quale, e ci teneva continuamente a ribadirlo, l’insegnamento maggiore di Evola era di rimanere in piedi tra le rovine, di non farsi vincere dalle lusinghe del mondo moderno, di mantenere la propria rettitudine senza accettare alcun compromesso con la democrazia, di serbare un deciso stile di vita unito ad una integrale e spirituale visione del mondo, aristocratica ed eroica. La stessa lucidità di queste affermazioni la trovammo successivamente nei racconti da Lui stesso redatti nei numeri di “Ordine Nuovo” o di “Civiltà” (ed oggi nel libro antologico Racconti dell’anarchico di destra). Ecco la “militanza”, il mettersi a disposizione, accogliere, farsi strumento della Tradizione in modo semplice e totale (umiltà), per trasmettere un insegnamento di vita e di Principi. Esempi che per noi sono stati e restano fondanti, al fine di perseguire quel lavoro di formazione della persona e della Comunità in nome della Tradizione. Tradizione che è Conoscenza dei Principi Universali e non filosofia quale pensiero pensante, ovvero regno del mentale, e non ideologia e non opinioni soggettive. Tradizione, quale Verità che appartiene a tutti coloro che hanno la buona volontà di cercarla, scoprirla e conoscerla, e per la quale Evola, come tanti altri testimoni della Tradizione stessa, ha dato precise indicazioni esistenziali. Tradizione che è trasmissione attraverso l’esempio di uomini che se ne fanno carico, elemento cruciale che se non si tiene a mente, porta al tradimento ovvero a quanto, con profonda amarezza, constatiamo da molto tempo a questa parte. Tradizione, quindi, quale traduzione nel contesto sociale in cui si opera, nella particolare fase storica in cui si vive, di pensiero ed azione, ove la militanza, nel senso suddetto, avviene nel solco dell’insegnamento evoliano e, pertanto, tradizionale. Pensiero e azione, che si possono coniugare perfettamente, anzi si devono, visto che è proprio Evola a ricordarci il rischio di scinderli. Il rischio, che a Destra conosciamo sin troppo bene, dell’azione fine a se stessa è lo sterile attivismo. Quello, invece, del pensiero chiuso in sé, è l’intellettualismo masturbatorio, l’accademia.
Come Raido, dal 1995 abbiamo sempre cercato di fare chiarezza su quanto sopra, prima di tutto a noi stessi e poi circa la linea che da sempre ha ispirato il lavoro della nostra comunità (non staremo ad elencare le centinaia di conferenze e le decine e decine di pubblicazioni – tutte autoprodotte – così come le iniziative sul territorio, tanto sociali quanto solidaristiche) e, necessariamente, per una questione di prossimità ed affinità, nei confronti di quell’ambiente politico e culturale che, a leggere certi articoli come quelli dell’“Annuario”, evidentemente tanto disgusta per la sua ignoranza, per la sua “limitante” militanza, per la sua gretta e poco “filosofica” predisposizione a tollerare certe aperture su Evola. Tuttavia, varrà la pena ricordare che, negli anni più difficili, se non era per gli eredi di quel mondo politico di cui Evola stesso era parte, del Barone sarebbe sopravvissuto ben poco. Se non avessimo avuto gli intellettuali militanti alla Adriano Romualdi, o la militia editoriale delle Edizioni di Ar, per fare solo qualche esempio, molti oggi sarebbero disoccupati o, per meglio dire, occupati con più profitto su qualche altro “filosofo” di loro gradimento e magari a buon mercato. Dov’erano, quelli che oggi tanto criticano il “mondo militante”, quando oltre alla Dottrina occorreva saper essere anche guerrieri e convitati di pietra?[2]
Evidentemente, per qualcuno, ciò che conta veramente è realizzare le edizioni critiche di Evola, presumendo, da un lato di avere la caratura intellettuale per aggiustare/spiegare/inquadrare criticamente Evola e, nel contempo, di bollare ciò che esce fuori da certi parametri “istituzionali”. Infatti, se proprio non si vuole insistere sul messaggio autenticamente tradizionale e formativo che Evola, quale testimone della Tradizione, ha voluto trasmettere attraverso una vita ed una produzione letteraria sicuramente complessa ed articolata, quanto meno ci venga risparmiata la solita psicosi da “peccato originale”, per cui è indispensabile dimostrare che Evola non era fascista, non era razzista, non era un cattivone, etc. etc., ma altresì, un “filosofo”, definizione che Evola stesso non avrebbe gradito. Depotenziare l’effetto positivo che la produzione evoliana ha da sempre avuto su un certo ambiente politico ed umano (a Destra), in funzione di un’operazione di legittimazione e penetrazione culturale tutta da dimostrare ( …cosa c’entra la massoneria in tutto questo?… ) e soprattutto attraverso un accademismo sterilizzante, ha comportato e tutt’ora comporta il prosciugamento di un ambiente umano che, nello spirito evoliano, nell’aspirazione a vivere la vita in modo guerriero, nel tentativo di informare il proprio stile di vita secondo i principi aristocratici e solari della Tradizione, ha cercato di mantenere la sua virtuosa ancora di salvezza. Indubbiamente, ma non è questa la sede per tale tipo di analisi, sono tanti gli equivoci che il ritenersi uomini differenziati (a priori) ha generato comportando gravi conseguenze, ma ciò non toglie che la forza, la radicalità, la certezza, la bellezza del sentiero della vita nobile per come Evola lo ha tracciato, rappresenti un patrimonio esistenziale e spirituale, che non può e non deve essere liquidato attraverso un’opera di inquinamento o annacquamento che, ahinoi, è in atto da molto tempo a questa parte.
Al convegno del gennaio 2016, ricordammo che dinnanzi al mondo moderno che crolla coi suoi falsi miti, le sue ideologie, le sua parole d’ordine ma che, nonostante tutto, conduce l’attacco più violento, multiforme e senza quartiere, nei confronti dell’uomo, della sua natura e delle sue radici, Evola ha lanciato quella parola d’ordine che non deve essere dimenticata se si vuole sopravvivere: ad un’unica cosa si badi a tenersi in piedi in un mondo di rovine. «Il problema primo, base di ogni altro, è di carattere interno: rialzarsi, risorgere interiormente, darsi una forma, creare in se stessi un ordine e una drittura» ed ancora, sempre Evola, «prima di pensare ad azioni esteriori, spesso dettate solo da momentanei entusiasmi, senza radici profonde, si dovrebbe pensare alla formazione di sé, all’azione su sé, contro tutto ciò che è informe, sfuggente e borghese». Pertanto, se per noi quanto sopra rappresenta la bussola per il lavoro che deve essere condotto, ripetiamo, secondo l’insegnamento che Evola stesso ha trasmesso, chi ritiene che ciò non sia fondamentale ovvero rappresenti un aspetto secondario rispetto alla necessità di “sdoganare” Evola (a modo loro, diciamo…), non venga a distribuire patenti di legittimità ed ortodossia e soprattutto non faccia una (scorretta) opera di denigrazione e fuorviante interpretazione di iniziative che si prefiggono di essere autenticamente militanti (pensiero ed azione). Tanto più che, a priori, nei confronti del lavoro di diffusione e conoscenza delle opere evoliane non abbiamo e non possiamo avere nessuna preclusione, vista la strategica funzione che lo stesso può avere (sia ben chiaro: senza che ciò significhi scendere a patti col nemico, prestando il fianco a qualsiasi e bizzarra reinterpretazione…), purché lo stesso lavoro sia condotto con quello spirito di servizio e di abnegazione (militante), che è l’unico a garantire purezza e indissolubilità degli intenti.
Tuttavia, c’è di più. Da un po’ di tempo a questa parte assistiamo ad una convergenza non sempre palese di più realtà e singoli molto diversi fra loro ma che in Italia rappresentano il mondo variegato che si situa a cavallo fra paganesimo/magia/antroposofia/kremmerziani di varia provenienza/ex-tradizionalisti/cattolici di facciata. Sembrerebbe in corso una rilettura, anche operativa, di Evola in cui, a prevalere, è l’aspetto magico-realizzativo ma su sfondo sincretico dove hanno spazio, oltre alla massoneria per quanto già espresso, anche forme varie di neospiritualismo. La riedizione critica di Crisi del mondo moderno di R. Guenon, opera tradotta in Italia da J. Evola, uscita di recente per i tipi delle Edizioni Mediterranee, ci ha dato da pensare. Alle 120 pagine dell’Autore francese, se ne aggiungono altrettante di considerazioni, osservazioni, analisi, critiche, ecc. di commentatori vari (alcuni dei quali collaboratori della Fondazione Evola) di stampo principalmente filosofico e psicologico, dove più che con la Tradizione e lo spirito tradizionale in generale si ha a che fare con un’inquietante funzione inquinante. Già l’immagine di copertina della nuova edizione critica è tutto un programma, considerato il simbolo riportato e la spiegazione dello stesso, spiegazione chiarita dalla seguente didascalia che pubblichiamo senza aggiungere commenti:
“Versione stilizzata del simbolo conosciuto come Stella del Caos o anche Croce del Caos, che ha moltissime varianti più o meno elaborate anche in forma di tatuaggi. È utilizzato per la prima volta nella “Magia del Caos”, una forma di magia rituale le cui teorie furono formulate la prima volta in Inghilterra intorno agli anni Sessanta, ma attribuite – senza peraltro precisi riferimenti – ad Aleister Crowley e ad Austin Osman Spare. Il simbolo sintetizza le infinite possibilità di direzione del disordine cosmico, formato da un punto dal quale si dipartono otto frecce equidistanti. La Stella del Caos compare nei romanzi di Michael Moorcock all’interno della saga di Elric di Melnibone (1965-2005) quale simbolo delle divinità del Caos. In contrapposizione al simbolo della Legge, rappresentato da un’unica freccia diretta verso il basso, evidenzia una ulteriore e più potente spinta verso la negatività”.
Infine, l’occasione è propizia per ricordare a chi ancora non ha avuto modo di conoscere il progetto RigenerAzione Evola (R.E.), ovvero a coloro che (s)parlano delle sue iniziative senza parteciparvi, che lo stesso non è la confusione che Studi Evoliani 2014 fa, mescolando le carte. Se da un lato la Comunità Militante Raido ha ispirato, voluto e collaborato alla sua realizzazione, R.E. non è “proprietà” di Raido giacché l’eredità evoliana non può essere esclusiva di alcuno. Anzi, in ordine alla massima dell’impersonalità attiva, tale progetto nasce col sigillo dell’anonimato, perché silenziosamente animato da singoli e gruppi organizzati che nessun interesse hanno ad anteporre il loro nome alla bandiera della Tradizione di cui vogliamo essere i signiferi. Non mettiamo nomi e cognomi in calce agli scritti perché noi siamo nulla, mentre la Tradizione è tutto: davvero e non a chiacchiere. Probabilmente, ad alcuni R.E. dà fastidio, perché ha avuto l’ardire di mettere in discussione un monopolio (tanto legittimo, per successione storica, quanto oggi immeritato) provando a rettificare la distorsione nell’interpretazione evoliana, concretizzando la massima: “La militanza contro l’Accademia”. Ben vengano allora i fulmini e le tempeste da parte di chi si sente “toccato” da coloro che si “limitano” a fare militanza (sic!), le invettive di chi non tollera l’organizzazione (in chiave militante) di conferenze, il fare (in chiave militante) ricerca scovando inediti, l’animare (in chiave militante) un sito che ogni giorno sforna articoli di Evola ed è seguito da centinaia di lettori, la pubblicazione (in chiave militante) di una collana di libretti, etc etc! Ben vengano da un lato, perché vuol dire che qualcosa siamo stati capaci di smuovere, ma dall’altro che amarezza il montare (strumentale) d’una polemica che dovrebbe nell’intento dei suoi estensori lasciare ai posteri, grazie allo strumento della carta stampata, a NOI il ruolo di poveri improvvisati che non solo si arrabattano con una materia non alla loro portata ma che la manipolano pure, ed a LORO quello di dotti professori che devono correggere l’alunno indisciplinato e ignorante di turno.
Ma è vero, noi siamo quella limitata e dequalificante specie umana, che prende il nome di militanti. Come direbbe qualcuno, “se questo è il bene, allora sì che siamo il male”.
In alto i cuori.
Note
[1] Il riepilogo delle “puntate precedenti” della querelle avuta con Raido, ovvero dei due interventi di quest’ultima, sono disponibili QUI (1 parte) e, poi in una seconda parte più strutturata ed esaustiva, QUI (2 parte). Invitiamo il lettore a riprenderne visione perché molte delle sterili critiche rivolte (per la verità sono sempre le stesse, evidentemente si lavora di “copia e incolla”), trovarono già in quella sede adeguata risposta.
[2] Secondo l’“Annuario”, la Fondazione “[…] ha curato direttamente o indirettamente dozzine di volumi di testi evoliani e ha praticamente concluso l’edizione critica delle sue opere, a cui nessuna altro in precedenza si era accinto (tanto di cappello!). Fosse stato per i “militanti” duri e puri, il pensiero di Evola sarebbe rimasto a livello settario chiuso nel ghetto dei fondamentalisti amanti della lettera e non del senso profondo delle sue opere. Una “lettura” da sezione di partito”. Cfr. C. Federici, “2014: anno evoliano. I convegni di studio dedicati al filosofo tradizionalista nel quarantennale della scomparsa e i nervi scoperti a destra e manca” in AA.VV. Studi Evoliani 2014, Torino 2016. Leggere queste stronzate è sputare in faccia ad un mondo che nel bene e nel male si è tenuto in piedi tra mille privazioni, un mondo che ha scelto la via più dura e se oggi qualcuno può farsi bello col nome di Evola, lo deve anche al sacrificio di tanti militanti che sanno cosa vuol dire Stile di vita.