«Non c’è cosa più deprimente dell’appartenere a una moltitudine nello spazio. Né più esaltante dell’appartenere a una moltitudine nel tempo».
Nicolás Gómez Dávila
I nostri nonni costruivano e difendevano il mondo attorno a loro: creavano e usavano gli stessi beni e strumenti per anni, perché fatti con maestria, per durare; vivevano in case di proprietà, arredate con mobili di legno robusto, che avrebbero accompagnato i loro figli e i figli dei loro figli…
Era l’umanità della terra e del granito, che arava ed edificava: le sue radici erano profonde e il suo orizzonte si apriva al cielo.
Oggi, senza mezzi termini, siamo l’umanità della plastica, siamo ‘usa e getta’, succubi della stessa obsolescenza programmata dei nostri elettrodomestici.
Lo stile vita moderno è uno scadente format riempito di beni di consumo, in cui veniamo programmati secondo abitudini fatte per farci dimenticare il nostro avvenire e poiché è sempre vero che ‘siamo quello che facciamo’… siamo fregati!
Siamo circondati di oggetti di plastica e apparecchi digitali, tutto è prodotto in serie, non è fatto per essere conservato, riparato e rinnovato, ma solamente per essere acquistato, utilizzato e, infine, buttato e sostituito.
Oggi riparare costa più che sostituire, vogliono farci credere che funzioni così anche per le persone, per i rapporti umani, per i progetti. Così il mondo moderno vuole (de)formare le nostre menti: siamo obbligati a non costruire e a non conservare, ma a consumare tutto, quotidianamente, per poi cambiare.
D’altronde, scegliendo di essere un numero, l’uomo democratico è stato ripagato con la stessa moneta: è sostituibile.
Egli non è una persona, è un individuo.
Ci vogliono incapaci di creare e – soprattutto – di procreare: per renderci schiavi, senza distrazioni, con salari da fame adatti solamente ad essere scialacquati in beni di consumo.
Per questo il mondo moderno insiste tanto su ‘migranti’ e ‘gender-fluid’, perché ci vuole esattamente così, per continuare a renderci schiavi.
Due facce di uno stesso tipo umano, senza riferimenti né prospettive: i moderni e utili schiavi del liberal-capitalismo, piuttosto che persone da aiutare… o veramente pensavi che Fedez avesse a cuore i diritti delle persone omosessuali?
Il primo tipo, il ‘migrante’, non ha radicamento né identità: è quindi pronto e disposto a tutto, a spostarsi ovunque per essere collocato senza problemi in ogni parte del mondo, svolgendo all’occorrenza qualsiasi mansione: ‘generazione erasmus’, lavapiatti a Londra, manager a Shangai… spremuti per due lire in più.
Il secondo tipo, il ‘gender-fluid’, non ha una sessualità e uno stile di vita definiti, non potendo procreare non ha un futuro. Egli è ogni giorno diverso, a seconda di chi o cosa si senta e, di conseguenza – o piuttosto, in realtà – a seconda di chi e cosa il sistema vuole che egli si senta.
Questo nuovo modello umano è fluido, dunque sterile. Pensaci: il gender-fluid può accontentarsi di una remunerazione da fame, per cui essere spremuto. Infatti, che senso ha per lui acquistare una casa e realizzare qualcosa di duraturo, se i suoi sforzi, la sua vita, la sua identità terminano con la sua fine biologica?
Per lui sono sufficienti una casa in affitto e tanti beni di consumo, non ha bisogno di un salario dignitoso, è il lavoratore-tipo perfetto: pagabile poco, senza rivendicazioni, senza l’‘impedimento’ della famiglia, dunque senza imprevisti, preoccupazioni o distrazioni.
Insomma, il modello è questo: non devi avere ambizioni diverse dall’essere sfruttato in un ufficio, perché con quei mille Euro al mese che ti sono concessi (quando ci sono) difficilmente comprerai casa, ma sicuramente potrai rinnovare l’abbonamento a Netflix, o pagarti lo smartphone, finanziando i protagonisti del capitalismo internazionale anonimo che continueranno ad arricchirsi, privandoti del futuro.
E questo reset funziona talmente bene che tale modello si è imposto anche tra coloro che non sono né ‘migrante’ né ‘gender-fluid’.
Considera l’eterosessuale bianco medio e le relazioni a cui dà vita: mere ‘compagnie di gioco’, stabili o saltuarie non ha importanza. Il senso del loro stare insieme rimane solo quello di divertirsi, andare a cena fuori, litigare, vivere una routine sessuale senza alcuna prospettiva (in cui anche poter rimediare, se accadesse qualche ‘incidente di percorso’), salvo poi svegliarsi verso i quarant’anni, annoiati da tutto e decisi a compiere quei passi per cui, ormai, si è troppo vecchi. L’extrema ratio tanto c’è: l’utero in affitto, di quelle donne pronte a mercificarsi perché disperate, di cui il femminismo non si ricorda mai, perché funzionali al capitale.
Probabilmente starai pensando: «eh, ma per costruire è necessario avere tutti i presupposti: la posizione lavorativa, il conto in banca, la stabilità, essere sicuri…»; ma è troppo facile giustificare la propria paura di mettersi in gioco e di prendere in mano il proprio futuro, sterilizzati da una prospettiva di vita deresponsabilizzante, fatta solamente di tante cose accessorie.
Il corredo da sposa della nonna, la vecchia credenza della zia, il tavolo da lavoro del nonno… simboli di un modo di vivere reale, mentre oggi viviamo sempre più in case affittate che non ci apparterranno mai, arredate da scadenti mobili di truciolato dell’IKEA, tutti uguali.
Ma che senso ha scandalizzarsi?
Siamo nell’era della sharing-economy, sistema in cui nulla più ci appartiene perché tutto è condiviso: la macchina, la postazione di lavoro… prossimo traguardo? La casa. Siamo il nuovo proletariato 2.0, ‘green’, digitalizzato e sostenibile.
Inoltre, è inutile dire che la pandemia è stata un’occasione per accelerare certi processi: i molti posti di lavoro perduti o attualmente a rischio, l’esplosione dell’e-commerce e il conseguente ‘boom’ dei rider – tristemente, lavoro simbolo dell’ultimo decennio –, la sempre maggiore digitalizzazione dei beni e dei processi; in generale, la distruzione del ceto-medio a vantaggio del grande capitale e della finanza anonima.
Ci convincono che tutto ciò sia bello ed etico, ma la verità è un’altra.
Non possedere nulla significa essere schiavi, totalmente dipendenti da una fonte di reddito precaria, che oggi c’è e domani forse no, senza avere diritto di replica.
‘Fluidità’, ‘digitalizzazione’, ‘sostenibilità’: le parole d’ordine della nuova schiavitù. .
Ma ripartiamo dalle basi: è da ipocriti illudersi di combattere il mondo moderno, se nel quotidiano si vive secondo uno stile di vita moderno.
E allora, sapete una cosa?!
NON CI AVRANNO MAI COME VOGLIONO LORO!
Ricominciamo a costruire, vivendo le difficoltà come occasioni.
È vero, è difficile, ma questo clima di ristrettezze potrà darci la possibilità di sviluppare una nuova essenzialità, per ricostruire tanto con poco, proprio come sapevano fare i nostri nonni.
Su questa base, potremo riordinare le priorità: riconoscere l’essenziale e metterlo al centro delle nostre vite, per escludere tutto ciò che è superfluo.
Tutte le maschere cadranno: le nostre e quelle dei nostri avversari. Considereremo nuovamente le persone per ciò che sono e non per quello che hanno.
Pochi, ma coraggiosi impareremo a costruire le nostre vite e i nostri rapporti pian piano, ma incessantemente e risolutamente. Pietra su pietra, le nostre tende diventeranno castelli, forse non subito, magari con le generazioni, ma avremo trasmesso qualcosa da portare avanti.
Non ci accontenteremo più di quello che acquistiamo per gettare via, perché tornerà ad essere superfluo.
Per fare questo, dovremo necessariamente circondarci di persone affini in anima e corpo. Di conseguenza, radicalizzati i rapporti tra amici e nemici, riscopriremo le nostre Comunità: sguardi limpidi, su cui sai di poter contare.
Per costruire le nostre vite, le nostre case, ci dovremo necessariamente mettere a fianco una persona che vive, pensa e intende come noi. Questa ascesi dell’essenzialità, se integralmente vissuta, non potrà che alimentare la polarità per cui ‘il simile attrae il simile’.
Solo questi torneranno finalmente a essere i famosi presupposti per costruire una vita. Tutto ciò che attiene alla stabilità economica sarà costruito contestualmente, passo dopo passo.
L’avere tutto prima e, possibilmente, subito è un’illusione consumista, che deriva dall’approccio contemporaneo al mondo e alle cose, in cui si pretende che ogni cosa sia acquistata pronta così com’è. Ma la vita non è un pacchetto, non è una cosa già pronta e assemblata. La vita ha in sé delle dinamiche, che devono essere costruite e strutturate, per potere essere conosciute, mantenute funzionanti e riparate all’occorrenza, se necessario con sforzo.
Interpretare la vita come un pacco già pronto, di cui potere e dovere fruire e godere, è il principio di ogni fallimento.
La posizione lavorativa, il conto in banca o la bella macchina: tutte fisime capitaliste, utili per spremerci ben-bene, per farci rimandare le vere preoccupazioni, ad uso e consumo di chi vorrebbe lucrare sulla nostra pelle.
L’uomo non è un ingranaggio, le possibilità materiali, che pur devono essere tenute in buon conto, non possono confliggere con la dimensione psico-fisica e, comunque, sulle stesse non si può fare affidamento, perché possono cambiare e non dipendono da noi.
Possiamo fare affidamento solo sulle forze dall’Alto – come insegna il Capitano Codreanu –, sui Princìpi della Tradizione, e sul lavoro su noi stessi fatto alla luce di questi: un invincibile concorso tra la Provvidenza e la nostra infaticabile volontà, che ci permetterà sempre di saper affrontare ogni sfida, ogni imprevisto – personale, lavorativo, familiare – che vorrà condurci alla disperazione e con cui l’avversario tenterà di sviarci.
Ce lo ripetiamo sempre: decenni di benessere hanno inflaccidito le nostre anime.
Bene, affinché ciò non siano solo parole, sfruttiamo queste difficoltà come un crogiolo in cui temprarci, viviamo una scuola militare dell’anima e costruiamo, costruiamo così come fecero i nostri nonni, di ritorno dalle trincee, che, pur senza nulla in tasca, posero quei mattoni, inamovibili, di cui oggi vogliono privarci.
Consigli di lettura
Gianluca Marletta, Reli-gender. La nuova religione universale cui il mondo si è inginocchiato, su “Fuoco. Informazione che accende”, anno 1 n°1 (apr-mag-giu 2021), pp. 12-14
Cristiano Puglisi, ‘Non avrai più nulla’: la ricetta mondialista dell felicità, su “Fuoco. Informazione che accende”, anno 1 n°1 (apr-mag-giu 2021), pp. 12-14
Enzo Iurato, Il furto della proprietà: un rimedio, su “Fuoco. Informazione che accende”, anno 1 n°1 (apr-mag-giu 2021), pp. 12-14
Roberto Asse, ‘Proletari di tutto il mondo, condividete’, su “Fuoco. Informazione che accende”, anno 1 n°1 (apr-mag-giu 2021), pp. 12-14
Rodolfo de Mattei, Dalla Sodomia all’omosessualità. Storia di una “normalizzazione”, Solfanelli
Andrea Moi, Il valore delle origini. Piccolo elogio delle origini al tempo dello sradicamento globale, Passaggio al Bosco
Renzo Giorgetti, La società da liquidare, Solfanelli
Pierre-Antoine Plaquevent, Soros e la società aperta. Metapolitica del globalismo, Passaggio al Bosco
Marco Iacona, Il Liberalismo, Solfanelli
Gian Marco Concas, Sangue e terra. Pensieri in tempesta contro il mondo globale, Passagio al Bosco
Enzo Pennetta, L’ultimo uomo. Malthus, Huxley e l’invenzione dell’antropologia capitalista, Circolo Proudhon